Recupero funzionale post ictus e attività motoria
L’atteggiamento della medicina riabilitativa nei confronti del recupero funzionale post ictus o stroke in questi ultimi decenni si è profondamente modificato: l’atmosfera è radicalmente cambiata e si assiste ad un interesse scientifico nettamente ampliato del quale sono chiara manifestazione il crescente numero di ricerche nel settore.
Tre sono le principali ragioni di questo cambiamento:
- lo sviluppo della tecnologia elettronica e diagnostica che permette di ottenere immagini dettagliate sia del sistema nervoso centrale e periferico sia del cuore;
- l’attenzione notevole che attualmente l’industria farmaceutica rivolge allo stroke come sforzo per lo sviluppo di nuovi e più efficaci farmaci;
- la terapia fisica che, integrata con la terapia farmacologia, permette di compensare e migliorare le capacità residue del soggetto dopo l’ictus.
L’ictus: definizione ed epidemiologia
Stroke o ictus o accidente cerebrovascolare sono sinonimi che definiscono un evento neurologico acuto che esita in degenerazione o morte di tessuto nervoso e conseguente alterazione delle funzioni motorie, sensorie e cognitive esplicate dai centri cognitivi.
L’ictus è una malattia grave, a volte coloro che sviluppano lesioni più estese o hanno un decorso aggravato da complicanze, non superano la fase acuta della malattia e muoiono durante le prime settimane. Per altri, una volta superata la fase acuta, si assiste ad un miglioramento che offre motivi di speranza.
Quando si verifica un ictus, alcune cellule cerebrali vengono lesionate in modo reversibile, altre muoiono; quelle che non muoiono possono riprendere a funzionare.
Gli effetti dell’ictus variano molto nelle diverse persone: alcune sperimentano solo disturbi lievi, che con il tempo divengono quasi trascurabili, altri, invece, portano gravi segni della malattia per mesi o per anni.
I numeri
Ogni anno si verificano in Italia circa 200.000 ictus, di cui circa il 20% è costituito da recidive. L’ictus è la terza causa di morte dopo le malattie cardiovascolari e le neoplasie, causando il 10%-12% di tutti i decessi per anno e rappresenta la principale causa d’invalidità. Il 75% degli ictus, quindi, colpisce i soggetti di oltre 65 anni, ma ci sono anche casi in cui l’ictus colpisce, sia pure in misura minore, anche persone giovani (<65).
Il sesso maschile è più colpito di quello femminile. La maggior parte degli eventi cerebrovascolari è di tipo ischemico, mentre solo il 15-20% è di tipo emorragico.
In nessun’altra malattia come nello stroke si sono ottenuti negli ultimi decenni risultati apprezzabili in campo preventivo.
Le cause
Le cause possono essere di tipo:
- ischemico: denominato anche infarto cerebrale acuto, è dovuto al blocco del flusso sanguigno per chiusura di un’arteria che porta il sangue al cervello. La chiusura di un’arteria può avvenire in modo improvviso, a causa di un embolo (frammento di parete arteriosa o del cuore che si stacca ed entra nel circolo sanguigno) oppure può avvenire in modo graduale, per il progressivo restringimento del vaso dovuto all’ispessimento delle pareti (aterosclerosi) e alla formazione di grumi di sangue coagulato (trombosi).
- emorragico: è dovuto alla rottura di un’arteria cerebrale. Questo può verificarsi in tre tipi diversi di circostanze: brusco aumento della pressione arteriosa (in questo caso si verifica un’emorragia cerebrale); rottura di un aneurisma, cioè di una porzione della parete di un’arteria malformata (in questo caso si verifica un’emorragia subaracnoidea); alterazione della coagulazione del sangue, per esempio in seguito a trattamento con farmaci anticoagulanti.
Stroke ischemico
Per quanto riguarda lo stroke causato da ischemia cerebrale, è possibile distinguere diverse tipologie: infarto trombotico dei grossi vasi, infarti embolici, infarto emorragico, infarti emodinamici, infarti intracranici da arteriolosclerosi (infarti lacunari), infarti cerebellari e del tronco encefalico, trombosi venosa.
Stroke emorragico
Le cause principali di emorragia cerebrale intraparenchimale sono l’ipertensione arteriosa, le malformazioni vascolari, le malattie ematologiche e le neoplasie. L’emorragia ipertensiva è la causa più frequente di ematoma intraparenchimale che occupa solitamente sedi tipiche quali la regione capsulo-lenticolare (50% dei casi), il talamo, gli emisferi cerebrali e il ponte.
Fattori di rischio
Numerosi trial clinici e dati osservazionali hanno dimostrato che lo stroke può essere prevenuto. L’identificazione dei fattori di rischio costituisce l’atto fondamentale per la prevenzione primaria e secondaria. I fattori di rischio possono essere divisi in modificabili e non modificabili.
Fattori di rischio modificabili
- ipertensione arteriosa;
- cardiopatie;
- diabete mellito;
- attacco ischemico transitorio;
- stenosi carotidea;
- fumo di sigaretta;
- dislipidemia;
- consumo di alcol;
- obesità;
- vita sedentaria;
- stress;
- uso di contraccettivi orali.
Fattori non modificabili [1]
Tra questi vanno considerati:
- età;
- sesso;
- ereditarietà.
Riabilitazione dello stroke nella fase acuta
L’attività di riabilitazione, in un paziente che è stato colpito da uno stroke, inizia già durante il ricovero in un reparto per acuti, non appena è stato raggiunto il controllo completo delle problematiche cliniche che possono minacciarne la vita.
Le condizioni generali del paziente in fase acuta non permettono un intervento riabilitativo intensivo come è possibile in una degenza riabilitativa, in seguito alla stabilizzazione delle condizioni cliniche. La riabilitazione ha, comunque fin dall’inizio, alcuni compiti fondamentali da svolgere al fine di contenere la menomazione e prevenire le complicanze dello stroke. Inoltre in questa fase, non appena si sono stabilizzate le condizioni cliniche e neurologiche, viene effettuato lo screening per identificare i pazienti che necessitano di riabilitazione, per selezionare il setting riabilitativo più appropriato e per identificare le problematiche su cui intervenire.
Le figure professionali che lavorano congiuntamente per risolvere le problematiche del paziente sono numerose: medici, fisiatri, dietologi, infermieri, fisioterapisti, logopedisti, psicologi, chinesiologi e assistenti sociali.
Esercizi per il recupero funzionale post ictus
Esercizi per migliorare la postura in carrozzina e favorirne l’autonomia
- a) Percezione della posizione in carrozzina, cioè dare al paziente la capacità di cambiare posizione a
- b) Aumentare l’autonomia negli spostamenti con la carrozzina, incrementando la “libertà” di
Esercizi respiratori
Questi esercizi mirano:
- a migliorare la presa di coscienza dell’atto respiratorio
- ad istruire il paziente a differenziare i due momenti della respirazione, usando il naso per l’inspirazione e la bocca per l’espirazione;
- a rieducare il paziente a pronunciare le vocali A E I O U;
- a differenziare il soffio, cioè provocare dei brevi tratti di apnea e poi soffiare via l’aria.
Esercizi per il controllo dello schema corporeo
- il paziente deve distinguere e nominare le diverse parti del corpo (occhi aperti/chiusi) (lato sano/lato plegico);
- in un secondo tempo sarà chiesto al paziente di riportare verbalmente le sensazioni percepite quando viene toccato il lato plegico;
- raccolta delle percezioni statiche e dinamiche
Esercizi per stimolare le afferenze sensoriali
Competenza tattile:
- appoggio della pianta del piede (scalzo) su diverse superfici
- stessa cosa con le mani;
Competenza visiva:
- il paziente dovrà descrivere oggetti e
- stimolazione dei movimenti del capo ed esplorazione visiva
- seguire con lo sguardo, un oggetto in movimento spostato dall’operatore;
- esercizi di memoria.
Competenza uditiva:
- il paziente dovrà riconoscere suoni differenti: chiavi, fischietto, battito di mani, ecc… (ad occhi chiusi ed aperti);
- individuare da che parte viene il suono.
Esercizi mimici
Questi esercizi sono usati per problemi riguardanti il linguaggio e la comunicazione: ad esempio l’articolazione delle parole o il ritmo, l’intonazione e la velocità di comunicazione.
Gli esercizi prevedono:
- stringere gli occhi, spalancarli e fare l’occhiolino;
- gonfiare e sgonfiare una guancia per volta;
- aggrottare la fronte;
- aprire la bocca, tirare fuori/dentro la lingua, spostarla a destra o sinistra, in alto o in basso, ecc…;
- mordersi la punta della lingua.
Attività in acqua
L’idroterapia e la rieducazione in acqua sono entrate da pochi anni a far parte dei protocolli di riabilitazione in campo ortopedico e sportivo. Nonostante ciò, fin dal momento della loro introduzione, hanno registrato un crescente consenso sia da parte di medici e terapisti, sia da parte dei pazienti.
L’idroterapia è indicata sia come mezzo di preparazione fisica in vista dell’intervento chirurgico sia come efficace strumento riabilitativo nella fase di rieducazione post-operatoria o post-traumatica.
Anche se spesso i percorsi riabilitativi si limitano a far compiere al paziente esercizi molto simili a quelli che si eseguono in palestra, per impostare un corretto programma di riabilitazione in acqua bisogna tener conto di alcuni principi molto importanti, come quello del galleggiamento, della viscosità e della pressione idrostatica.
I principali vantaggi della riabilitazione in acqua:
- la diminuzione della forza di gravità rende i movimenti più naturali e meno stressanti per le articolazioni consentendo l’esecuzione di movimenti impensabili a secco;
- la resistenza offerta dall’acqua è graduale, senza punti morti; ciò consente di mantenere una tensione muscolare uniforme durante i movimenti favorendo il recupero del tono e della flessibilità muscolare.
La riabilitazione in acqua consiste nel fare svolgere al paziente vari esercizi, molte volte gli stessi che si eseguono in palestra, con il corpo parzialmente immerso nell’acqua.
Dividendo tali esercizi in quattro grandi categorie possiamo parlare di esercitazioni mirate al miglioramento:
- del tono muscolare (esercizi a catena cinetica aperta, eccentrici o concentrici);
- della mobilità articolare e dell’equilibrio (esercizi di stretching, esercizi di mobilizzazione attiva/passiva, esercizi propriocettivi);
- recupero degli schemi motori (deambulazione/corsa in sospensione, pedalata, slanci, balzi ecc…);
- recupero del gesto sportivo (esercizi a catena cinetica chiusa in acqua poco profonda, balzi, skip, affondi, spostamenti laterali, ecc…).
Gli esercizi a catena cinetica aperta come l’estensione della gamba si eseguono solitamente con il segmento corporeo completamente immerso nell’acqua. Questi esercizi consentono di potenziare selettivamente un unico gruppo muscolare e di migliorare la mobilità di una singola articolazione. Per questo motivo sono solitamente impiegati nelle fasi iniziali del programma riabilitativo.
Gli esercizi a catena cinetica chiusa, svolti solitamente nell’acqua poco profonda, fanno lavorare contemporaneamente più gruppi muscolari ed articolazioni, mantenendo le estremità distali (solitamente i piedi) in appoggio sul fondo della piscina. Esempi di esercizi a catena cinetica chiusa sono i piegamenti sulle gambe e gli affondi. Questa tipologia di esercizi essendo poco specifica ed abbastanza impegnativa viene utilizzata soltanto nelle fasi finali di rieducazione al movimento o al gesto sportivo.
La terapia in acqua quindi migliora la funzionalità articolare e muscolare dopo un evento traumatico, ed è utile per prevenire o per curare sintomatologie idiopatiche croniche come la lombalgia. Tali esercitazioni sono particolarmente indicate per quei soggetti con difficoltà di movimento legate all’obesità, ad artriti, a fratture o distorsioni, e traumi neurologici.
Nella maggior parte di questi casi si registra un netto miglioramento del tono muscolare e del range articolare dopo un adeguato programma terapeutico. Il paziente, spesso anziano, acquisisce in tal modo un maggiore controllo motorio che, migliorando l’equilibrio, allontana il rischio di cadute e rallenta il declino funzionale legato all’invecchiamento e alla cronicizzazione della malattia [2].
[1] Stroke Prevention And Educational Awareness Diffusion. Ictus Cerebrale: linee guida italiane.
[2] BROGLIO A.-COLUCCI V., Riabilitazione in acqua.